Se le fonti riguardo l'arte culinaria di Apicio ci giungono frammentarie, ancor più nebbiose risultano essere le notizie riguardo la sua vita.
Sembra che Apicio visse sotto Tiberio (la sua nascita è rilevata intorno al 25 a.C.) ed ereditò un ricchissimo patrimonio che sperperò per soddisfare i suoi peccati di gola; la sua prodigalità è null'altro che lo specchio sociale della sua epoca, intrisa di edonismo e di lusso estremo, favorito dal consolidarsi dello stile di vita orientale trasceso nell'immoralità di Cibele e favorito da una nuova volontà tesa alla ricerca del piacere, dovuta alla decadenza dei concetti di stato e di religione.
Stando ad alcuni scritti di Seneca (che riportano più curiosità che fatti effettivamente verificabili), Apicio aveva un tenore di vita molto elevato: sembra che non si facesse problemi nel pagare 5000 sesterzi per avere una triglia di 4 libbre e mezzo, così come non lo spaventava l'armare una nave a Minturno e fare rotta verso la Libia a "caccia" di fantastici pesci. Si dice che il suo patrimonio personale fosse di molto superiore ai 100 milioni di sesterzi ma, il continuo spendere votato alla ricerca di sapori sempre nuovi, lo spinse verso il suicidio nel momento in cui si accorse di non poter più mantenere il tenore di vita al quale si era abituato.
Il suo insano gesto, venne interpretato da cristiani e filologi, come una punizione esemplare per tutti coloro che ne erano seguaci perchè, con il suo stile di vita e con il suo libro di cucina "De re coquinaria", risultava pericoloso per la salvezza morale della società.
Pare che "Apicio" fosse un soprannome, il vero Apicio era vissuto cento anni prima e sembra fosse un famoso ghiottone.
Isidoro di Siviglia scrisse di Apicio: "et merito quia is qui gulae atque edacitati servit et animam et corpus interficit"
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